sabato 17 novembre 2012

Recensione di "Rosadasfogliare"


Recensione di "Rosadasfogliare"

(copertina Ilaria Antoniani)


Tutti, prima o poi, sognano e sperano di essere fatti prigionieri dalle catene dell’amore e, naturalmente, di imprigionare qualcun altro dentro il proprio laccio. “Sono la tua preda ormai, | potrai divorarmi, possedermi, annientarmi, | e poi distruggermi come fa il fuoco crepitante | con gli arbusti, le foglie, l’erba secca”: ecco cosa ci suggerisce l’eccitante voce che parla in questo libro. È la voce della mutua dedizione e dipendenza, l’esperienza passionale della reciproca schiavitù, più forte di noi, del nostro spirito di libertà e di indipendenza, della nostra dimensione solitaria di individui.
Si sa, l’amore “si fa”, ma ancora di più “si dice”, mentre lo si sogna in attesa di farlo o lo si ricorda sperando di ripeterlo o lo si nomina all’inseguimento di un’identità (“fare l’amore con le parole” dice l’autrice in una delle sue poesie). Dell’amore e della sua fenomenologia, dei suoi riti, dei suoi simboli, delle sue morti (“morire sulle tue labbra”) e delle sue rinascite, i poeti sono sempre stati interpreti privilegiati, in tutte le epoche e in tutte le culture.
Ce ne dà ulteriore ampia testimonianza, nella combinazione accesa di amore ed eros, Inine Batir (pseudonimo che dietro all’intonazione straniera non nasconde affatto la sua incancellabile natura densa e sensuale di passione tutta italiana) in questo ricchissimo e stratificato, acceso e carnale Rosadasfogliare, prezioso repertorio dell’amorosa avventura e delle sue molte emozioni che vede come interpreti i due amanti, uomo e donna (ciascuno dei due “vittima sacrificale”), presi dietro al reciproco desiderio della loro passione (“la passione è un nodo”). E il desiderio è sempre la questione capitale dell’eros, nella sua alta e delirante pronuncia, a maggior ragione in questo libro (“il desiderio è implacabile, batte senza tregua”, “proviene dalle viscere | … | irresistibile, incontenibile”).
Se ci si mette nell’ordine del desiderio (“quando il desiderio tracima”), ci si rende conto che il movente di molti gesti e parole umani è sempre di ordine sessuale (volendo ridare all’aggettivo “sessuale” la valenza sacrale che aveva nel mondo pre-cristiano – e come separare, poi, l’amore dal sesso? -). “Emozioni, follie, trasgressioni, | voglio tutto, subito, e anche di più”, nella consapevolezza di una volontà comunque perseguita dietro al desiderio: “Sei il mio demonio famelico, | tra le tue mani nude | io ti vendo, insensatamente, | la mia anima.”
Non a caso, il verbo “amare” in italiano viene dal latino, ma non era parola propria della lingua latina. I romani lo avevano preso dalle popolazioni mediterranee che avevano conquistato occupando la nostra penisola. La parola derivava da una radice appunto mediterranea, “Am”, trascrizione onomatopeica del mettere in bocca, dell’ingoiare: una persona o una cosa da mangiare, desiderando di essere tutt’uno con quella.
Del resto, una componente cannibalesca bisogna metterla in conto, come appare anche da molte pagine di questa raccolta (“la mia bocca straripa”, “per succhiare il sangue | caldo, | fluido, | vermiglio”), che sembra dare ragione a Lacan e alla sua affermazione che l’amore significa l’unione con l’oggetto d’amore, la sua deglutizione, il suo assorbimento, preferibilmente in un corrispettivo adeguato del luogo “dove la natura selvaggia ha preso il sopravvento”. Nella consapevolezza, tuttavia, che l’equilibrio è instabile nell’amore e gli amanti non combattono sempre ad armi pari (come sarebbe l’ideale nella lotta corpo a corpo, pur nell’intesa di cedere reciprocamente l’uno all’altra: “hai bisogno di prendere e di dare incondizionatamente”), spesso l’uno eclissa l’altro, tanto che quello posto in ombra è tormentato a un certo punto dal desiderio contrastante di fuggire.
Ecco la ragione del margine sottilissimo tra l’amore e l’odio (da intendersi non solo come limite, ma anche come risorsa della dinamica sessuale), attestata dalla poesia amorosa ed erotica di tutti i tempi e paesi, ben prima che la psicoanalisi arrivasse ad affermare che, tra la domanda e il transfert, l’amore non è il contrario dell’odio ma trova nell’odio la sua struttura radicale. Per cui può accadere, odiandosi fino allo strazio reciproco, di amarsi in modo violentemente travolgente: “Maschere di fango e sangue, | stretti in un abbraccio spietato, infernale, | stremati, confusi, | avvinti in un vincolo letale, | colpevoli solo di non aver capito, | di essere, perdutamente, innamorati”.
C’è in Rosadasfogliare tutto il vocabolario delle figure che tornano nel frammentario “discorso” dell’eros, dentro lo scenario partecipe della natura in cui Inine le cala ogni volta (“guardando il cielo e le nuvole | tra le viole e l’erba fresca”, “tra i filari della vigna”, “lungo ombrosi sentieri”), ciascuna delle due essendo “un continente inesplorato, lussureggiante, incontaminato”. Figure congegnate come interpreti di un incontro-scontro poderoso, di un duello della carne avvolgente, di un teatro privato di espressioni dentro le quali l’amante finisce ogni volta catturato: “Come una lupa affamata mi avvento con ingordigia sulle tue parole… | Le tue parole mi tentano voracemente, e le pretendo, | come se fossi una bambina golosa!”. Ed è l’immagine potente, in qualche modo rappresentativa dell’intera raccolta, di chi vuol farsi preda offrendosi dietro al proprio desiderio alle voglie dell’altro.
C’è, in queste pagine, la consapevolezza raggiunta del “frutto maturo”, espressa con una sua inconfondibile misura che recupera la tenerezza dentro la passione (“Reclino la testa all'indietro in un attimo di riposo, | socchiudo gli occhi, | e ripercorro le strade delle tue carezze, | i sinuosi sentieri | che le tue morbide labbra perlustrano | fino alle rosee ciliegie e ai vermigli petali"). C'è l’ebbrezza della piena felicità (“tronfia di piacere”), della giovinezza e della maturità. C’è l’amore dell’amore, ma anche il senso della catastrofe amorosa annunciata, come sempre nel dichiararsi bruciante di ogni amore. E, in presenza degli sconfinamenti dissennati e maniacali dell’amore, ecco subito l’opportunità di evocare in scena la voce dell’amato che “avvolge strettamente | come un nastro di seta” immobilizzando le membra, e ammalia e irretisce con la sua magia vincente, in questo straordinario romanzo erotico che sono le poesie di Rosadasfogliare.
Anche quando all’amante assente si fa il discorso della sua assenza (“Allungo la mano… ma tu dove sei?”), comunque si addolcisce il carattere angosciato e angosciante del tempo “presente”, che è il tempo vero dell’amore e del delirio amoroso. E, nel delirio amoroso, con una bravura che definirei istintiva Inine Batir riesce a muoversi ardita in mezzo ai mille passaggi dell’eterna vicenda amorosa, riconsegnandone al lettore un attraversamento inedito, perfino sorprendente e, in ogni caso, inaspettato. L’autrice infatti tratta il tema dell’amore in modo variegato, con registri e sensibilità di volta in volta adeguati, con attenzione continuamente mutante a comportamenti, pulsioni, fantasie, bisogni, miti che sono parte sostanziale della vicenda amorosa. E la sua scrittura ha tratti, piegatura, vibrazioni e musica di grande forza e suggestione, sulla scia di una tradizione che dal passato remoto della nostra vicenda letteraria ha visto imporsi e consolidarsi come decisiva la presenza delle donne nella poesia d’amore.






     Rosadasfogliare
     di Inine Batir
     copertina Ilaria Antoniani
     fotografo Daniele Pompei


Ilaria Antoniani

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